L’Antica Mostarda dei Pio è opera del paziente lavoro di ricerca sia documentale, sulla composizione originale, che pratico sul campo con la messa in opera della ricetta, quanto più fedele possibile in base agli elementi raccolti, della famosa cinquecentesca Mostarda Fina di Carpi. Luciana Toni, Gianfranco Zinani e lo Chef Carlo Gozzi, sono gli artefici di questa appassionata riscoperta e al contempo conducono in società il Ristorante L’Incontro a Carpi in cui oggi viene prodotta, utilizzata ad esaltazione dei piatti più rappresentativi, e commercializzata.
Le origini della Mostarda Fina di Carpi
Nelle ricerche storiche specifiche sulla Mostarda Fina di Carpi scopriamo che, specie alla cinquecentesca corte dei Pio, a differenza dell’utilizzo popolare riscontrato nel resto del paese per ciò che concerne le mostarde comuni, destinate come conservanti a prolungare la vita della frutta matura; questa nostra Mostarda Fina godeva invece già di una grande fama tra le famiglie nobili, tale da essere oggetto di segreto e diversificato ricettario di produzione, spesso gelosamente conservato e tramandato, cosa che di fatto ha reso e rende difficoltosa una ricostruzione univoca della sua composizione.
A livello documentale, la Mostarda Fina di Carpi, tra le mostarde, trova riscontro in numerose citazioni tra cui, forse la più famosa, si trova nel poema eroicomico del Tassoni “La Secchia Rapita”, pubblicato nel 1622 a Parigi, che la enumera tra i numerosi doni offerti al legato pontificio avente funzioni di pacere nella disputa tra Modena e Bologna, e nel quale si parla di “due cuppelle di mostarda di Carpi isquisitissime.“
Nella seconda metà del settecento grazie alle ricerche del frate Luca Tornini nella sua “Storia di Carpi” apprendiamo che il suo affermarsi nel millecinquecento, in piena epoca della Signoria dei Pio, è dovuto all’opera ingegnosa di una famiglia che da lì in avanti acquisterà già nel cognome, “Sebellini” (da “semini di senape?”), un chiaro riferimento all’ingrediente più noto della mostarda.
“(La mostarda Fina di Carpi) Questa sotto questo nome è assai rinomata, (…) Ella è composta principalmente di una qualità di pomi particolari che perlopiù nascono solo nel nostro suolo, e d’una dolcezza pari a quella del miele. Quindi è che almeno la prima loro cottura si fa nell’acqua semplice, lo ché rende sempre più stimabile la sua invenzione che dicesi ritrovata da uno della carpigiana famiglia de’ Sebellini alias della Nava, e de’ Passoni, che propria appunto sorse per questo nel 1500 furono detti Sebellini dalla mostarda.”
Che la mostarda fosse un aspetto centrale nella vita della città, lo dimostra l’esistenza di una vera e propria “Maschera”carpigiana: il Mostardino addirittura nominato dal Guicciardini, coevo di Alberto Pio III° principe di Carpi.
Il Mostardino, garzone di drogheria, conserva sulla guancia sinistra una voglia di color vinaccia riconducibile appunto alla mostarda, munito di cerbottana per il tiro agli uccelli, cappello di paglia, pungente nell’humor, per Carnevale, unico periodo cui era consentito sconfinare dalla rettitudine dei contenuti con la scusa della burla, era solito intrattenere gli astanti nella pubblica piazza con articolati quanto comici discorsi basati essenzialmente sulla satira politica e di costume.
In un carteggio settecentesco tra Girolamo Tiraboschi, letterato, autore della “Storia della Letteratura Italiana” e Eustachio Cabassi, “amante delle lettere e della scena“, risulta questa preziosa definizione: “La mostarda è una salsa, che qui si confeziona, ab antico, meglio che altrove in modo particolare e con tal cura e qualità d’ingredienti, per cui essa ha avuta ed ha tale rinomanza da far chiamare Carpi, per antonomasia, la città della mostarda fina.”
Cenni storici sulla Mostarda
La Mostarda ha un’origine antichissima di non semplice datazione, considerando che i suoi ingredienti base più frequenti: frutta in genere, mele, uva, sono presenti fin dall’antichità nella mensa dell’uomo e la senape, diffusasi dall’Egitto, conosciuta dai greci, era già utilizzata dai romani come conservante e antiossidante degli alimenti. Alcune testimonianze riconducono la sua più probabile identificabilità al periodo medioevale in Francia, quando nella zona della Borgogna, alcuni monaci iniziarono l’approntamento di un particolare mosto cotto, definito “ardente”per la presenza della senape, ossia piccante, da qui quel “mustus ardens“, base etimologica del termine moutarde, “mostarda” in italiano. In pratica assieme ai mosti d’uva e di mele, venivano aggiunti, a scopo conservativo, dei semi o della farina di senape che di fatto crearono i presupposti per una salsa da condimento dalle apprezzabili caratteristiche di piccantezza e che si rivelò ottima anche nell’abbinamento alle carni cotte e alle verdure.
Per tentare una datazione certa del suo diffondersi nel nostro paese occorre tenere presente che la senape, una brassicacea già presente in forma spontanea nell’areale del mediterraneo, a livello produttivo ebbe la sua massima espansione solo intorno al millecinquecento, quando proprio a Orléans nacque la prima corporazione, mentre si dovrà attendere il 1550 per vedere nascere quella di Digione, conosciuta anche ai giorni nostri proprio per le sue salse a base di senape. In questo contesto possiamo evincere che la diffusione della senape in Italia, come ingrediente addizionabile ai condimenti, si sviluppò attraverso i commerci con la Francia, proprio in quegli anni, consentendo l’affermarsi in tutto il nord Italia, e successivamente in tutto il paese, della mostarda; almeno nella sua forma attualmente riconoscibile, frutto del matrimonio della senape con i mosti cotti della nostra sapiente, quanto umile, tradizione contadina e a sostegno di quelle povere mense prevalentemente dedicata.
È solo nominata da Alessandro Tassoni nell’eroicomico suo poema La Secchia Rapita come dono offerto al legato pontificio che veniva a fare da paciere nella contesa tra Modenesi e Bolognesi a cui, per Carpi, partecipava il condottiero Zaccaria Tosabecchi con duecento eletti , parte dei quali montavano asini e parte cavalli: Gli donò la città trenta rotelle/ E una cassa di maschere bellissime/ E due some di pere garavelle/ E cinquanta spongate perfettissime/ E cento salsicciotti e due cuppelle/ Di mostarda di Carpi isquisitissime/ E due ciarabottane d’arcipresso/ E trenta libbre di tartufi appresso//.
Il carattere eroicomico del poema, valse a Carpi la citazione: Carpi dalla mostarda fina/ degli asini è regina// la qual cosa non è mai stata “digerita”, tant’è che da Carpi la risposta in forma dialettale al motto era: Se i Carpsan i fusèr di magna esen daboun/ di Mudnes a n’gh’in srev più gnanch oun// (Se a Carpi fossero dei mangia asini davvero/ dei Modenesi non ce ne sarebbe più nemmeno uno).
Detta citazione torna comunque utile a stabilire che la mostarda carpigiana esisteva, e che, salvo ironia, era reputata superlativamente squisita, ma non dà nessun ragguaglio sulla sua composizione.
Luigi Maini, in Strenna Carpense per l’anno 1844 , scriveva un saggio sulla Mostarda di Carpi dove, dopo avere dichiarato che invano aveva consultato libri per trarre precise indicazioni sulla sua composizione, riporta citazioni tratte dal Parnaso Italiano, dal manoscritto del Tornini, dal Tassoni, da Paolo Chiesa e dagli estratti del Monte di Pietà di Carpi analizzati dal Canonico Giorgio Fanti; in ognuna delle citazioni si sottolinea la finezza, ovvero l’ isquisitezza , capace più dell’oro di stuzzicare l’inerzia degli avvocati romani che, nel 1605, stavano trattando una causa a favore del Monte di Pietà di Carpi.